domenica 3 luglio 2011

LA TEORIA DEI GIOCHI SPIEGATA DAL PROF. ROBERT J. AUMANN

I giochi dell’economia e l’economia dei giochi” di Robert J. Aumann (Premio Nobel per l’Economia), pubblicato nel 2009 dall’editore Di Renzo è davvero un buon libro, in quanto fornisce una chiara idea della Teoria dei Giochi, pur senza addentrarsi in aspetti troppo tecnici. L’autore spiega, in modo comprensibile ed esaustivo, quando è nata la Teoria, dove, ad opera di chi, perché, in quali settori venne in origine applicata e in quali campi viene usata oggi.

Innanzitutto la Teoria dei Giochi non è un gioco, ma è matematica applicata. Il nome tradisce il contenuto: siamo abituati a considerare il gioco legato al piacere e spesso identifichiamo il gioco come l’opposto della realtà. Al contrario di quanto si potrebbe pensare, la Teoria dei giochi non è divertente (almeno nell’accezione comune del termine), e viene applicata a numerose situazioni, che vengono definite “giochi”. “Possiamo definire gioco una qualunque situazione che coinvolga due o più parti, chiamate giocatori, in cui il benessere di un giocatore dipende non solo dal suo comportamento, ma anche da quello degli altri” (“Introduzione alla teoria dei giochi” di Ferdinando Colombo, Carocci editore 2003, pag. 11).

“Il metodo di analisi della Teoria dei Giochi richiede di esprimere ogni problema in un linguaggio formalizzato e di applicare ad esso alcuni algoritmi, che consentono di individuare le possibili soluzioni del problema di scelta razionale.” Essa “è quindi sostanzialmente una tecnica di calcolo”. (Colombo, op. cit., pag. 12).

Per introdurre la Teoria, Aumann spiega come, nel periodo in cui la guerra fredda raggiunse il culmine, i teorici dei giochi interpretarono la mossa americana di costruire numerosi rifugi antiatomici. “Perché si costruisce un rifugio antiatomico? Perché si teme un attacco nucleare. E perché si teme un attacco nucleare? Una buona ragione potrebbe essere che ci si sta preparando ad attaccare l’altra parte, quindi il primo pensiero è difendersi dalla conseguente rappresaglia” scrive Aumann (Aumann, op. cit., pag. 11). Ecco che la mossa americana di costruire rifugi antiatomici non poteva che apparire (agli occhi dei sovietici) estremamente aggressiva e quindi pericolosa. Da qui proviene l’utilità della Teoria: se i politici avessero ragionato come i teorici dei giochi avrebbero corso meno rischi di scatenare un conflitto atomico.
D’altronde, a differenza di molti testi istituzionali di Microeconomia, Aumann tende soprattutto a spiegare come può essere impiegata la Teoria e quali vantaggi può offrire. Così, invece dei soliti esempi da libro scolastico, in cui il caso sembra costruito ad hoc per ottenere un certo risultato e di conseguenza appare artificiosamente astratto, egli punta ad esempi concreti, reali e vissuti, come i negoziati per il disarmo che gli offrirono un ottimo spunto per i suoi studi relativi ai giochi ripetuti.

La storia della Teoria dei Giochi inizia tra il 1910 e il 1920, quando vennero studiati soprattutto i giochi a due giocatori e a somma zero, nel senso che se un giocatore vince 100, l’altro perde esattamente 100 (e quindi la somma fra le vincite, 100 + (-100), è pari a zero). La sequenza delle mosse dei giocatori viene rappresentata in forma normale, cioè tramite una matrice di dati, oppure in forma estesa, vale a dire mediante un diagramma ad albero. Il guadagno di ogni giocatore viene definito pay-off e il piano completo per gestire la partita viene detto strategia. Quando venne elaborato il concetto di soluzione di un gioco, si scoprì che la soluzione è unica soltanto nei giochi a due a somma zero. In tutti gli altri, non esiste una risposta univoca.

Poi grazie a studiosi come Von Neumann, Morgestern, Nash, Aumann, Zermelo, Shapley ed altri la Teoria dei Giochi si sviluppò, fino ad elaborare applicazioni utili non solo in economia e in altre scienze sociali, ma anche in biologia evolutiva. Nel 2005 Aumann ricevette il Premio Nobel per l’Economia soprattutto per aver scritto “il primo trattato rigoroso sui giochi ripetuti con un qualche valore di generalità” (Aumann, op. cit., pag. 41).

Quanto sono diffuse oggi le applicazioni della Teoria dei Giochi? Basta leggere qualche libro che, dal titolo, pare non abbia nulla a che vedere con l’argomento, per poi scoprire che l’autore utilizza nel proprio lavoro alcuni strumenti riconducibili alla Teoria.

Ad esempio Lou Marinoff in “Platone è meglio del Prozac” (edizioni Piemme 2007) tratta della sua attività di “consulente filosofico” e descrive come aiuta i suoi “pazienti” ad affrontare scelte importanti. Nella Teoria dei Giochi, scrive Marinoff, “i giochi vengono usati in senso metaforico per descrivere molte attività umane in cui i partecipanti devono decidere la migliore mossa da compiere in obbedienza ad un complesso di regole, ma per lo più senza essere a conoscenza di tutti i fattori. La teoria delle decisioni, usata da filosofi, fa proprie le idee principali della Teoria dei Giochi, di solito però evitando eccessive complessità matematiche. Soltanto in una ridotta gamma di giochi sussiste in realtà una mossa migliore in ogni fase della partita, e in questo caso è razionale compierla se la si individua. Ma nella maggior parte dei giochi non si ha una mossa migliore: strategie diverse impongono scelte differenti, sicché la domanda non è semplicemente: “Quale mossa è ragionevole fare?” ma piuttosto: “Quale strategia è preferibile adottare?”” (Marinoff, op. cit., pag. 191-192). Così Marinoff, grazie alla Teoria dei Giochi, aiuta i propri clienti a formalizzare meglio il problema di scelta di fronte al quale si sono bloccati, e alla fine sono i clienti stessi, nel momento in cui hanno chiarito i termini del problema, a trovare la soluzione più ragionevole.

Altro esempio di applicazione della Teoria dei Giochi si trova in “Istruzioni per rendersi infelici” (Feltrinelli editore, 1984) di Paul Watzlawick. Egli afferma: “Si giochi dunque a somma zero a livello relazionale e si stia pur certi che a livello oggettivo tutto andrà lentamente ma sicuramente in rovina” (Watzlawick, op. cit., pag. 100). L’idea è che la relazione con il partner non può essere considerato un gioco a somma zero e, se si insiste con questa convinzione cercando di dimostrare di aver ragione e pensando di aver vinto (esattamente ciò che ha perso il partner), si finirà comunque male. Infatti in questo caso si instaura un gioco di potere, in cui uno dei due tende sempre a voler vincere sull’altro, con la conseguenza che, non facendo piacere a nessuno perdere sempre, un giorno il perdente smetterà di “giocare” e terminerà la relazione. I due giocatori (magari marito e moglie) saranno entrambi perdenti di fronte ad un terzo avversario di cui non hanno tenuto conto: la vita.

A proposito della vita, Aumann termina il suo libro con un bilancio. Nel passivo mette le morti di un figlio e della moglie. Nell’attivo colloca invece “l’eccitazione della ricerca”, “la soddisfazione dell’insegnamento”, “la bellezza di una passeggiata nei boschi col tuo nipotino di quattro anni, che riesce a scovare e identificare correttamente la piccola orchidea selvatica di cui gli avevi parlato la settimana prima”, “crescere una bella famiglia” e “vedere la bandiera di Israele, che ondeggia nel vento accanto a quella svedese sul tetto del Grand Hotel di Stoccolma” (Aumann, op. cit., pag. 69-70).

Walter Caputo - 3 luglio 2011

Nessun commento:

Posta un commento