mercoledì 28 dicembre 2011

TRA IL MODELLO E LA REALTA'

Il processo di modellizzazione è alla base della scienza moderna. Da un lato vi è un sistema fisico, ad es. il sistema solare e dall'altro troviamo un modello matematico: punti in uno spazio a tre dimensioni ed equazioni che ne descrivono il moto. Tra il modello e la realtà vi è una corrispondenza: il moto matematico dei punti coincide con il moto osservato dei corpi celesti. Questo è un miracolo.

“Ci siamo abituati talmente a questo miracolo da non pensarci più, eppure continua a restare un mistero, quanto meno per chi scrive queste righe”. Tale affermazione è estratta da “Come funziona il caos – Dal moto dei pianeti all'effetto farfalla” di Ivar Ekeland (Bollati Boringhieri 2010). Ed effettivamente Ivar Ekeland ci ha pensato molto: leggendo il suo testo si comprende benissimo quanta fatica faccia un divulgatore per farsi capire dal grande pubblico. Il risultato è davvero ammirevole, assolutamente in linea con le buone indicazioni fornite da Amedeo Balbi ne “L'apologia di un divulgatore”.

Ma torniamo ai modelli. Ne esistono due tipi: stocastici e deterministici. “Un modello è stocastico se, ad un istante dato, richiede che qualcuno lanci i dadi per usare il risultato del lancio. Nell'ambito della fisica moderna si calcolano delle probabilità: la probabilità che un elettrone passi da un'orbita atomica ad un'altra, la probabilità che un nucleo si disintegri (...)” scrive Ekeland. Si tratta di situazioni in cui non sappiamo cosa succederà in futuro; possiamo semplicemente stilare un elenco di eventi e a ciascuno assegnare una determinata probabilità di verificarsi.

Decisamente più utili sono i modelli deterministici, grazie ai quali è possibile predire gli stati futuri e ricostruire quelli antecedenti, poiché “l'evoluzione del modello è determinata interamente dal suo stato attuale” (tutti i virgolettati di riferiscono a citazioni di Ekeland, salvo dove sia diversamente specificato). Se non esistessero altri tipi di modelli il modello apparirebbe piuttosto triste: o gli esseri umani sono foglie in balia di venti ingovernabili (modelli stocastici) oppure tutto ciò che succede ora determinerà in modo ineluttabile e fatalistico il nostro futuro (modelli deterministici).

Fortunatamente esiste la teoria del caos che, innanzitutto, fornisce nuovi modelli per rappresentare fenomeni irregolari o aleatori. Si tratta di modelli deterministici ma caotici: non serve la presenza (ingombrante) di un lanciatore di dadi, ma si lascia posto anche al caos, cosa che implica “associare una dimensione all'imprevedibile”. In pratica, in matematica sono stati elaborati nuovi strumenti: sta poi al fisico o al biologo o anche all'economista scegliere i mezzi migliori per modellizzare la realtà oggetto del loro studio.
D'altronde, a tal proposito, Ekeland scrive: “La teoria del caos è, come la geometria euclidea o la teoria dei numeri, un insieme di risultati matematici dotati di vita propria, indipendentemente dal fatto che si possa applicare o meno a dei fenomeni osservabili”.

Molti pensano che l'incertezza sia necessariamente legata alla complessità. Eppure è possibile generare il caso “anche attraverso meccanismi molto semplici”. Così, anche se vi è un ridotto numero di fattori e ciascuno di essi è fonte di casualità autonoma, il sistema è caotico. Ma come è possibile che un sistema caotico sia anche deterministico? “La risposta sta in quel labile margine che separa lo zero matematico dal quasi niente, l'esattezza assoluta dalla migliore approssimazione possibile”. Purtroppo non siamo in grado di ottenere una precisione senza limiti, né in merito alle condizioni iniziali del sistema, né relativamente ad ogni tappa futura di evoluzione dello stesso. E ciò potrebbe farci sentire completamente impotenti di fronte alla realtà che ci circonda. Tutte le simulazioni numeriche, fornite dai grandi calcolatori, sembrerebbero di fatto inutili.

In realtà, e fortunatamente, esiste lo “shadowing lemma (il lemma dell'orbita ombra)”: esso “ci assicura che, in un certo senso, l'incertezza sulla posizione iniziale e gli errori di arrotondamento si compensano”. Così, sebbene si commettano errori, è possibile calcolare traiettorie “giuste”, grazie – paradossalmente – all'instabilità tipica dei sistemi caotici. Ma dobbiamo sempre tener conto che, fra il modello e la realtà, c'è il calcolo. “Non diremo mai più: questa equazione rappresenta questo fenomeno. Bisognerà aggiungere: il sistema è caotico, il suo tempo caratteristico è di tot, sappiate che al di là di quest'ultimo certi calcoli non rappresentano più nulla (...)”. Ai limiti fisici eravamo già abituati, ora “bisognerà abituarsi al fatto che le teorie abbiano anche dei limiti numerici”.

Walter Caputo

martedì 20 dicembre 2011

C'ERA UNA VOLTA IL QUINTO POSTULATO DI EUCLIDE

Spazio è una parola che normalmente evoca tutto ciò che si trova oltre l’atmosfera del nostro pianeta. Al limite si può pensare a Goldrake oppure ad Isaac Asimov. Figuriamoci poi se leggiamo la parola “iperspazio”: ci verrà in mente Star Trek o qualche diavoleria tecnologica per saltare da un punto all’altro dell’Universo, riducendo in questo modo enormi distanze.

E invece no, perché spazio, iperspazio e frattali è anche geometria, o meglio “il magico mondo della geometria”, come recita il sottotitolo del libro di Giuseppe Arcidiacono, edito da Di Renzo e intitolato appunto “Spazio Iperspazi Frattali”.

Se la matematica è ostica per molti, allora la geometria lo è ancora di più: proviamo a pensare, ad esempio ai primi anni dei licei scientifici, durante i quali gli studenti vengono bombardati di teoremi relativi ai triangoli. Teoremi e dimostrazioni, uniti a vagonate di esercizi, che richiedono innanzitutto un disegno, e già quello non è una passeggiata.

Una tipica conseguenza di questo modo di insegnare geometria è che gli studenti pensano che esista solo la geometria piana o al limite quella dei solidi. Oltretutto non hanno la minima idea della storia della geometria, cioè di come i matematici siano giunti a certi risultati e, soprattutto, perché.

La geometria, ovvero “lo studio delle proprietà comuni a figure uguali” (pag. 51) è tutt’altra cosa. E, a tal proposito, il libro di Arcidiacono offre numerosissimi spunti o livelli di lettura. C’è una parte, quella iniziale, che espone proprio le basi, ovvero la geometria piana di Euclide e si distingue per il rigore e la sintesi. Non si sprecano parole e non si devia da un preciso ordine che rappresenta lo sviluppo dell’argomento. Certo, occorre rilevare che le prime 35 pagine sono forse eccessivamente didascaliche: vengono passate in rassegna numerose figure geometriche senza “sale”, cioè senza quegli elementi (curiosità e aneddoti) che potrebbero rendere la lettura più coinvolgente. Insomma in principio il libro pare più un manuale che un testo divulgativo.

Tuttavia, si rileva fin da subito l’utilizzo dell’approccio bibliografico di tipo storico: l’autore identifica, per ogni capitolo, le fonti prime di produzione della geometria. Inoltre, da pag. 37, il libro è più ricco, aneddotico, interessante e coinvolgente. Ad esempio vi si trova il “mistero di Archimede”, ovvero “come riuscì a trovare l’area della sfera e il suo volume?” (pag. 37).

Poco più avanti si incontrano cenni ad una geometria che, a mio parere, è una delle più pazzesche e divertenti: si tratta della topologia, detta anche “geometria del foglio di gomma” (pag. 48). Si tratta di una geometria che risulterebbe decisamente simpatica agli studenti, poiché essa “non si propone affatto di calcolare lunghezze, angoli, aree o volumi delle figure geometriche, ma studia solo le proprietà qualitative delle figure” (pag. 48). Con estrema chiarezza viene enunciato il Teorema di Jordan: prendete ora un foglio di carta (cioè un piano), disegnate una curva chiusa (ad es. una circonferenza o un quadrato o un fagiolo…), scoprirete che tale curva divide il piano in due parti una interna (alla curva) ed una esterna. Tale figura geometrica viene detta “curva semplice”.

L’autore prosegue poi con la geometria analitica, trattandola di nuovo in maniera troppo didascalica. Però il capitolo successivo, intitolato “le geometrie non euclidee” pare dar vita ad una parte molto più brillante, oserei dire quasi scoppiettante. Infatti già l’inizio assomiglia ad un giallo: il quinto postulato di Euclide è un postulato e come tale non ha bisogno di essere dimostrato perché “intuitivamente vero”, oppure è in realtà un teorema ed Euclide stesso non è riuscito a dimostrarlo, cercando di non dare troppo pubblicità alla faccenda? Secondo voi, possiamo ritenere intuitivamente vera la seguente affermazione: “Per un punto, fuori da una retta si può condurre una sola parallela alla retta” (pag. 67)?

Se non accettate il quinto postulato, allora: “per un punto non si può condurre alcuna parallela alla retta” oppure “per un punto si possono condurre due parallele alla retta” (pag. 67). Queste due affermazioni hanno dato vita a due diverse geometrie non euclidee. La loro storia è davvero coinvolgente: essa inizia con un dubbio e termina con l’apertura di nuovi orizzonti geometrico - matematici, che non sono solo astratti come si potrebbe pensare, poiché essi hanno applicazioni pratiche in fisica.

Non voglio rovinarvi il piacere della lettura, per cui non aggiungo altro, se non che il libro di Arcidiacono può essere un’ottima idea per un regalo (peraltro costa solo 11,50 euro), a condizione che venga donato ad una persona che abbia certe caratteristiche. Il destinatario deve essere un soggetto che ama la scoperta, a cui piace imparare cose nuove, insomma una persona che da uno spunto di un libro passa ad un altro libro secondo percorsi personali che risultano sempre gratificanti. D’altronde quest’opera dell’editore di Renzo non può essere letta (e consumata) molto rapidamente. Occorre leggerne una parte e poi fermarsi a pensare, anzi ad immaginare tutte le strabilianti figure che la geometria ci propone e che escono dal classico piano cartesiano, disegnato quasi distrattamente su una lavagna scolastica.